g8 genova diaz raidGenova – Era la sera del 21 luglio 2001, quando al termine del G8 di Genova, tra le 22 e mezzanotte, nelle scuole Diaz, Pertini e Pascoli, divenute centro del coordinamento e dormitorio dei manifestanti anti G8 del Genoa Social Forum guidato da Vittorio Agnoletto, facevano irruzione i reparti mobili della Polizia con il supporto operativo di alcunibattaglioni dei Carabinieri.

Il raid delle Forze dell’Ordine terminò con un bilancio drammatico: 93 attivisti fermati e 61 feriti ricoverati in ospedale, dei quali 3 in prognosi riservata e uno in coma. Per il tragico esito del blitz finirono sotto accusa 125 poliziotti, compresi dirigenti e capisquadra, per quello che il vicequestore Michelangelo Fournierfu definì un pestaggio da ‘macelleria messicana’.

Ed oggi l’Italia, ancora in riferimento a quei fatti, è stata ufficialmente condannata per tortura dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo la quale ha stabilito che ” Quanto compiuto deve essere qualificato come tortura”.

La Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia sulla base del ricorso presentato da Arnaldo Cestaro, una delle vittime della perquisizione alla scuola Diaz. Nel ricorso, l’uomo, che all’epoca dei fatti aveva 62 anni, afferma che quella notte fu brutalmente picchiato dalle Forze dell’Ordine tanto da dover essere operato, e da subire ancora oggi ripercussioni per alcune delle percosse subite. Cestaro sostiene che le persone colpevoli di quanto ha subito sarebbero dovute essere punite adeguatamente, ma che questo non è mai accaduto perché le leggi italiane non prevedono il reato di tortura o reati altrettanto gravi. Oggi i giudici della Corte Europea dei Diritti Umani gli hanno dato pienamente ragione.

Ma non solo la Corte ha riconosciuto che il trattamento che gli è stato inflitto deve essere considerato come “tortura”: nella sentenza i giudici sono andati oltre, sostenendo che se i responsabili non sono mai stati puniti, è soprattutto a causa dell’inadeguatezza delle leggi italiane, che quindi devono essere cambiate. Inoltre la Corte ritiene che la mancanza di determinati reati non permette allo Stato di prevenire efficacemente il ripetersi di possibili violenze da parte delle Forze dell’Ordine.