Palazzo di Giustizia di Genova
Palazzo di Giustizia di Genova

Genova – Colpo di scena nel processo per la tragica alluvione del novembre 2011 costata la vita a 6 persone. Il Tribunale di Genova ha condannato a cinque anni e due mesi l’ex sindaco Marta Vincenzi, accusata, insieme all’assessore Scidone e ad alti funzionari del Comune di Genova di omicidio colposo plurimo e falso e calunnia per aver modificato i verbali del giorno dell’esondazione del Fereggiano per alleggerire la posizione di Palazzo Tursi.
Quel tragico 4 novembre 2011, il torrente Fereggiano causò la morte di 4 donne e due bambine di 8 anni e 10 mesi.
Il pm Luca Scorza Azzarà aveva chiesto sei anni e un mese.
Questa mattina, dopo le repliche degli ultimi due difensori, il giudice Adriana Petri ha pronunciato la sentenza di condanna.
La decisione è stata presa dopo sette ore di Camera di Consiglio. Vincenzi era accusata di omicidio plurimo, disastro colposo plurimo, falso e calunnia. Per quest’ultima accusa è stata assolta.
Secondo l’accusa, i politici e i tecnici non chiusero le scuole nonostante fosse stata diramata l’allerta 2 e, la mattina
della tragedia, non chiusero con tempestivita’ le strade. Dalle indagini era emerso che “gli uffici comunali di protezione civile avevano ricevuto notizie allarmanti già alle 11 mentre il rio Fereggiano esondò intorno all’una”.
In quelle due ore c’era la possibilità di evitare la tragedia con alcuni accorgimenti che “non vennero messi in atto”, aveva scritto il pm. I vertici della macchina comunale “non solo non fecero quello che andava fatto” ma, secondo l’accusa, “falsificarono il verbale alterando l’orario dell’esondazione”.
Quel documento secondo gli inquirenti venne alterato per sostenere la tesi secondo cui quel giorno sulla città si abbattè una “bomba d’acqua” di per sé imprevedibile.
All’indomani della tragica alluvione, venne aperto un fascicolo per disastro colposo e omicidio colposo plurimo contro ignoti. Grazie alle testimonianze dei cittadini, alle loro foto e video, gli investigatori hanno scoperto che la verità raccontata dai verbali presentati dagli uffici comunali era ben diversa da quanto veramente accaduto. Vennero cosi’ ipotizzate le accuse relative al verbale ‘taroccato’: il falso, appunto, e la calunnia perché gli imputati scrissero nel documento che il volontario di protezione civile risultava presente sul rio a monitorare l’andamento dell’acqua quando invece non arrivò mai sul posto.