Genova – Un terribile terremoto ha sconvolto la Liguria il 23 Febbraio 1887 ed ancora oggi quella scossa, in una regione erroneamente considerata “sismicamente stabile”, preoccupa gli esperti.
Una scossa, violentissima, una delle più forti mai registrate in Italia e che fece crollare case e uccise 631 persone. Molti paesi dell’entroterra furosono quasi rasi al suolo e nel Mar Ligure si verificò persino uno Tsunami che fece ritirare le acque del Porto di Genova di ben 10 metri.
Ecco come andarono le cose:

In quel giorno cadeva il Mercoledì delle ceneri. Nelle prime ore di quella fresca mattina al teatro Carlo Felice di Genova erano ancora in corso i festeggiamenti per il Martedì grasso mentre nei paesi intorno ad Imperia, che allora era ancora Porto Maurizio, la gente si preparava per la cerimonia della aspersione delle ceneri. Molti erano già radunati nelle chiese, prima di iniziare una lunga giornata di lavoro. Quella sembrava una mattina come tante; solo le leggere scosse sismiche avvertite la sera precedente e fino ad un paio di ore prima, avevano cambiato la monotonia dei giorni sempre uguali di contadini, pastori e pescatori.

Ma alle ore 6 e 22 minuti fu chiaro che quella non era una mattina qualunque. Il silenzio fu squarciato da un rombo accompagnato da un improvviso ed indomabile sussulto del terreno. In qualche diecina di secondi il paesaggio ligure fu sconvolto.
I testimoni raccontano di scene di panico in tutta la Liguria. Per esempio a Genova la gente scappò via dalla festa in maschera dove i pesanti lampadari del Carlo Felice cadevano rovinosamente a terra mentre buona parte della popolazione si radunava sul greto del Bisagno.
Tutto questo mentre in città crollavano alcuni soffitti ed una casa a Porta Pila ebbe il tetto sfondato. I danni però si contarono soprattutto nella zona di Ponente: Diano Castello, Diano Marina, Bussana, Albisola Marina, Baiardo, Castellaro, Ceriana, Laigueglia, San Remo e Taggia subirono gravissimi danni ma anche molte altre decine di località furono ridisegnate dal sisma.
La scossa principale fu avvertita in un’area di 568.000 km2, in pratica in tutta l’Italia settentrionale, la Francia meridionale e centrale, la Svizzera ed il Tirolo.
Si contarono 631 vittime, di cui 39 nella provincia di Genova, che allora comprendeva anche i comuni dell’attuale provincia di Savona.

Ma il numero più grande di vittime si contò a Bajardo, dove persero la vita 220 persone; a Diano Marina, dove le vittime furono 190 e a Bussana Vecchia, dove si contarono 51 salme. Quest’ultima, già seriamente danneggiata dal terremoto che aveva colpito l’area nel 1831 e malamente ricostruita, subì danni tali da essere in seguito abbandonata e riedificata più a Sud.
Infatti nel 1894, sette anni dopo, gli abitanti si mossero in processione alla volta del nuovo sito, lasciando le rovine che rimasero tali fino a quando, negli anni ’60, cominciarono ad essere utilizzate dagli artisti dapprima come atelier, poi via via come abitazioni e studio.
L’abbandono della cittadina, considerata una delle tante città fantasma in Italia, ha fatto sì che spesso l’evento del Febbraio 1887 venisse ricordato come “terremoto di Bussana” ma, visto il tributo in vittime delle altre località, sarebbe più corretto chiamarlo terremoto di Diano o di Bajardo.

All’evento principale seguirono 11 scosse di assestamento solo quel giorno, di cui quelle delle 6.29 e delle 8.51 furono probabilmente anche più forti della principale e concorsero alla devastazione finale interessando sia edifici integri che già danneggiati.
La crisi sismica durò sicuramente fino all’Ottobre del 1887, e nel periodo si contarono almeno una ottantina di repliche.
A fare buon peso, poi, ci si mise anche il mare. Uno tsunami causò il ritiro delle acque lungo tutta la costa tra Santa Margherita Ligure e Antibes, tornando poi a crescere con un’onda di circa 1 m.
Vari testimoni raccontano che il ritiro fu ingente in alcune località in funzione della conformazione della costa; per esempio nel porto di Genova fu di ben 10 m.

Il ritiro del mare durò alcuni minuti e, secondo alcuni, non era difficile trovare sulle spiagge molti pesci morti per la lunga esposizione all’aria. In alcune località si osservarono fenomeni di liquefazione (fuoriuscita di fango e acqua dal terreno), scomparsa di acque dalle fonti causata dalla deviazione di fiumi sotterranei o comparsa di nuove sorgenti in seguito a fratture nel terreno.
Si stima che gli sfollati furono circa 20000. A fronte di questo numero le strutture locali non furono in grado di reagire prontamente, e nelle prima 48 ore, la situazione fu decisamente difficile.
Mancavano i materiali per costruire baracche e rifugi, e gli aiuti tardavano ad arrivare sia per la situazione delle strade che per le continue scosse che compromettevano l’organizzazione degli interventi.

La situazione migliorò decisamente solo a seguito dell’emanazione di un decreto pro-terremotati del Regno d’Italia, promulgato il 31 Maggio del 1887.
Intanto numerosi scienziati studiavano il fenomeno, spesso recandosi personalmente nelle zone terremotate oppure elaborando i sismogrammi registrati dai primi strumenti sismici della rete di rilevamento che andava piano piano prendendo corpo in quegli anni.
Tra i principali si ricordano Torquato Taramelli e il sacerdote Giuseppe Mercalli. Incaricati dal re Umberto I, trascorsero numerosi giorni sui luoghi del disastro raccogliendo preziose informazioni.
In particolare a Mercalli fu subito chiaro che le scale del danno in uso fino a quel momento erano insufficienti a descrivere la varietà di situazioni che si presentavano ai suoi occhi, e questo fu motivo per elaborare la omonima scala, più complessa e completa, che pubblicò agli inizi del ‘900.
Si può dunque dire che la scala Mercalli nacque in Liguria.

Quanto fu forte il terremoto del Mercoledì delle ceneri ? Non è facile dare una risposta. Nel 1887 la magnitudo non era ancora stata proposta (verrà “inventata” da Richter nel 1935) e solo utilizzando leggi empiriche se ne è potuta valutare una misura a posteriori, che pur non essendo comparabile con quella ottenuta con uno strumento come nell’algoritmo di Richter, tuttavia può dare una idea dell’entità del fenomeno.
La situazione è complicata dal fatto che non si trattò di una sola scossa e che gli effetti osservati sono la somma di più scuotimenti successivi.
Inoltre, non tutti concordano sulla posizione iniziale del terremoto: mentre vi è generale accordo sull’origine marina del sisma, a seconda della distanza crescente dalla costa il valore di magnitudo potrebbe variare anche di molto.
Tuttavia si può ragionevolmente pensare che la magnitudo del terremoto del 23 Febbraio 1887 vari da 6.4 a 7.0. Per capirci, come minimo si è trattato di un evento pari a quello che ha sconquassato il Friuli nel 1976 o l’Appennino Centrale nel 2016, ma utilizzando la stima più alta arriveremmo ad un sisma tra i più forti mai registrati in Italia.
A fronte di questa stima, gli edifici liguri non erano certo predisposti per sopportare un forte sisma. Mercalli ricorda infatti che “una gran parte delle rovine e specialmente delle vittime umane si sarebbero risparmiate se dopo i violenti terremoti del 1818 e del 1831 si fossero presi provvedimenti per rendere le case della Liguria più solide e più resistenti all’urto di nuovi movimenti sismici” , un’affermazione che suona quanto mai attuale in una nazione come la nostra dove il 65% degli edifici è stato costruito prima che entrasse in vigore la norma tecnica per le costruzioni in zona sismica, dove il condono edilizio è una pericolosa prassi e la preparazione dei cittadini nei confronti dei disastri naturali è una lontana chimera.

L’attuale classificazione sismica della Liguria

Gli effetti del terremoto sono dovuti alla potenzialità che avvenga un sisma, nota come pericolosità (in Italia i terremoti più forti sono attesi lungo l’Appenino), alla vulnerabilità degli edifici (ovvero alla loro maggiore o minore capacità di resistere agli scuotimenti) e all’esposto vulnerabile (cioè l’organizzazione sul territorio della popolazione: densità, organizzazione in condomini o case indipendenti etc). L’interazione tra questi tre fattori è all’origine dello scenario del danno.
Anche una zona a pericolosità bassa dove tutti gli edifici sono notevolmente vulnerabili la popolazione è concentrata in poche abitazioni, si potranno verificare importanti danni. Viceversa, in zone ad alta pericolosità dove gli edifici sono costruiti bene e la popolazione è ben distribuita, i danni potrebbero essere contenuti. Il caso del Giappone docet.

Siccome non si può cambiare la pericolosità di una zona (che dipende esclusivamente dalla geologia e dalla storia geologica), bisogna agire sulle altre due variabili e soprattutto sull’educazione al rischio. La normativa tecnica si interessa di diminuire la vulnerabilità in maniera adeguata a seconda della maggiore pericolosità del punto su cui verrà costruito un nuovo edificio con regole sempre più restringenti in funzione appunto della pericolosità. Per avere una idea speditiva del tipo di azioni da intraprendere, è in uso una classificazione sismica in livelli da 1 (massima) a 4 (minima) ed ogni comune italiano è contraddistinto da un valore tarato sulla sua pericolosità. In pratica, più alta è la accelerazione del terreno attesa (in semplici parole l’entita dello scuotimento) più alto è il valore della classificazione sismica, tenendo conto che si procede a rovescio (da 4, bassa, a 1, alta).

In fase di progettazione, poi, i valori di accelerazione vanno poi confermati o ricalcolati per quel particolare sito e si aggiungono fattori correttivi in base alla durata prevista dell’edificio, del tipo di terreno su cui poggia, dello scopo dell’edificio (scuole, aeroporti o ospedali, ad esempio, hanno una valenza diversa rispetto alla singola abitazione).
La Liguria ha cambiato alcune volte la propria classificazione negli ultimi anni usufruendo di una certa libertà, consentita per legge, di variare le soglie se le informazioni locali lo suggeriscono. La più recente mappatura prevede solo le zone 2, 3 e 4. In pratica l’area del terremoto del 1887 (compresi 4 comuni in provincia di Savona Alassio, Andora, Laigueglia e Stellanello) e la zona a nord di Spezia (al confine con la Toscana) sono in zona 2. I comuni a Nord di Savona e fino a Genova (Arenzano) sono in classe 4. Il resto della regione (Genova compresa) è in classe 3.

Un terremoto, mille storie….

Le conseguenze di un terremoto hanno un forte impatto, anche mediatico, sulla società. Nel caso poi di sismi di una certa energia, l’evento diventa spesso argomento di cronaca e dà origine a curiosità, aneddoti, credenze popolari. Il terremoto del 1887 non fu diverso in questo. Ecco alcune delle “storie” nate durante e soprattutto dopo quel terribile giorno di Febbraio.
– Il terremoto del 1887 è uno dei primi terremoti di cui esista ancora una registrazione. In quel periodo si andava costituendo un primo nucleo di rete sismica (in realtà si trattava di un gruppo di osservatorii; la differenza è che questi ultimi agiscono indipendentemente mentre in una rete le rilevazioni sono gestite in tempo reale al centro di elaborazione dati). Il recupero del sismogramma è dovuto alla pratica di “copiare” a mano la traccia sismica per poter scambiare la registrazione con altri centri di rilevazione. Infatti nei casi in cui sono state fisicamente prestate le tracce sismiche, spesso queste sono andate perse. Fortunatamente non è il caso del terremoto ligure.
– E’ opinione generale che il bilancio delle vittime fu dovuto alla concomitante celebrazione religiosa. La ricorrenza del Mercoledì delle ceneri aveva radunato nelle chiese, notoriamente più vulnerabili ai terremoti, molti fedeli che altrimenti sarebbero stati al lavoro. Il caso eclatante è quello di Bajardo, dove vi furono pochissimi danni alle abitazioni (le fonti riferiscono della distruzione di due sole case) ma dove la chiesa dedicata a San Niccolò di Bari subì il crollo della volta, a sua volta causa dell’ingente numero di vittime. La chiesa è posta sulla parte più alta del paese e con buona probabilità lo scuotimento dell’edificio fu amplificato dalla sua posizione. Tuttavia la celebrazione religiosa avveniva contemporaneamente anche in molte altre chiese. Per esempio anche la chiesa di S. Maria delle Grazie (poi di S.Egidio) di Bussana fu gravemente danneggiata e anche in questo caso la volta crollò. Ma invece di tentare la fuga ammassandosi verso l’uscita, come probabilmente accadde a Bajardo, i parrocchiani avvisati dal sacerdote su quello che stava accadendo si rifugiarono nelle navate laterali dell’edificio, e riuscirono a salvarsi. Questo, semmai fosse necessario, a dimostrare quanto sia importante sapere come comportarsi prima che sia troppo tardi.
– Dopo il terremoto del 1887 vi fu anche un episodio di sciacallaggio, forse non il primo ma sicuramente inquietante, favorito da una grave disorganizzazione degli interventi. A Bussana infatti arrivò un guarnigione dell’esercito che, allo scopo di prevenire furti, si posizionò ai varchi del paese. Il compito del tenente Mattei, capo del drappello, era solo quello di impedire l’ingresso alla città. Ma i paesani temevano che vi fossero ancora persone vive sotto le macerie, e tentarono l’ingresso in paese con la forza. Furono esplosi alcuni colpi di fucile, ma quattro paesani riuscirono ad entrare in paese e salvare tre donne. Neanche davanti a questa realtà il tenente cambiò idea, ed è probabile che alcune persone morirono per la mancanza di soccorso. Tuttavia la situazione cambiò quando un certo marchese Rinaldi, rappresentante di un gruppo di soccorso organizzato a Firenze, si presentò al tenente Mattei e intimò di intraprendere le azioni necessarie. Così furono montate le prime tende. La popolazione vide in Rinaldi un personaggio forte ed affidabile. Così quando quest’ultimo organizzò una colletta tra i paesani per meglio organizzare gli aiuti, tutti contribuirono con quel poco che avevano. Purtroppo però il fantomatico Rinaldi appena raccolta una bella somma, scomparve portando con sé anche le speranze dei bussanesi.

Una curiosità scientifica. La distribuzione dei danni è molto variabile e si assiste, in alcuni casi, a situazioni molto interessanti in cui comuni molto prossimi hanno subito livelli di danni molto diversi. Siccome si tratta spesso di comuni coevi, per i quali ha senso ipotizzare tecniche e materiali costruttivi simili, hanno sicuramente giocato sul bilancio dei danni i cosiddetti effetti di sito (la quota, il tipo di terreno su cui poggiano le fondamenta, lo spessore della coltre sedimentaria ovvero quanto suolo è posto sopra la base rocciosa). Curiosamente però solo in tempi recenti la questione è stata analizzata dal punto di vista scientifico e rivalutata dopo che alcuni terremoti più recenti hanno messo in luce situazioni simili. E’ il caso di dire che non tutti i paesi sono uguali davanti al terremoto. Tuttavia la differenza dovrebbe farla una oculata e seria applicazione delle norme antisismiche.

Non tutto viene per nuocere, si dice talvolta. La Liguria approfittò della necessità di ricostruire paesi e villaggi per impostare, soprattutto sulla costa, una vocazione turistica contro quella rurale che aveva contraddistinto le attività fino a quel momento. Infatti alcuni alberghi furono costruiti proprio in questo periodo o comunque come conseguenza dei nuovi spazi disponibili a seguito del terremoto.

In molti paesi liguri esistono lapidi e cartelli che ricordano l’evento. Spesso basta , durante una passeggiata, essere più curiosi per vedere qua è là questi segni. Entrando a Bussana, ad esempio, una lapide ricorda i nomi di coloro che hanno perso la vita in quel terremoto.

Molte vicende popolari sono nate a riguardo del terremoto del 23 Febbraio. La più curiosa è forse quella della statua che non volle andare via. Dopo la costruzione della nuova chiesa di Bajardo si decise di spostare i pochi arredi sacri rimasti e la statua di Sant’Antonio. Venne organizzata una processione per raggiungere il nuovo sito. La statua venne caricata sulle spalle e la processione si mosse. Tuttavia ad ogni passo verso la nuova chiesa la statua aumentava di peso e nuovi portantini si aggiungevano. Pensarono che la strada in discesa facesse aumentare lo sforzo, ma a qualcuno venne il dubbio che ci fosse qualche altra ragione ed urlò che la statua non voleva andare via. Per riprova, la processione invertì il senso di marcia e la statua magicamente tornò ad essere leggera. Oggi è ancora lì, nella sua nicchia, e protegge la chiesa e i paesani. Per devozione, per alcuni anni si tenne una celebrazione in quella chiesa, una grande festa per il paese a mò di scongiuro di un evento che resta ancora uno dei più importanti mai verificatisi in Italia.

Stefano Solarino, sismologo, è Dottore di Ricerca in Geofisica. Lavora come primo ricercatore al Centro Nazionale Terremoti dell’INGV presso la sede di Genova ospitata al DICCA dell’Università di Genova.
Studia la sismotettonica, ovvero la relazione tra faglie e terremoti, della Liguria e del basso Piemonte e la geodinamica della catena Alpina.
Si occupa di divulgazione scientifica ed educazione al rischio. E’ membro del Comitato di Programmazione del Festival della Scienza e cofondatore del gruppo di lavoro sulla comunicazione in seno alla European Seismological Commission.
E’ autore di 34 pubblicazioni su riviste internazionali, circa 100 su riviste nazionali, articoli su quotidiani e libri. E’ autore del libro “I rischi naturali cominciano dal basso” edito da Liberodiscrivere (https://www.liberodiscrivere.it/biblio/scheda.asp?opereid=164649) con cui ha pubblicato anche il saggio “il terremoto del 23 febbraio 1887 in Liguria Occidentale” (fuori catalogo)