Roma – Giovani non pervenuti e “strage” tra le donne. Sono i due dati salienti che affiorano dall’analisi accurata della prima prova del concorsone Rai per 100 posti (a tempo determinato) da giornalisti. Scendiamo nel dettaglio. Un totale di 2.828 giornalisti professionisti provenienti da tutta Italia ha sostenuto la prima prova (un test di 100 domande a risposta multipla sui più svariati argomenti) a Bastia Umbra: 1.386 uomini (49%) e 1.442 donne (51%). Età media dei candidati: 39 anni. Di questi, 400 sono stati ammessi alla prova successiva. La prima sorpresa riguarda la suddivisione per sessi, con una batosta piuttosto pesante per quello femminile. Le donne ammesse sono state solo 123, pari al 31% dei promossi, contro 277 uomini che rappresentano una percentuale più che doppia corrispondente al 69%. Altro dato interessante riguarda l’età: i migliori sono risultati i 39enni, ben 32 sui 400 ammessi. Se poi si esamina l’arco tra i 38 e i 40 anni il numero lievita a 68. E i giovani? Un flop. Basti pensare che tra i 400 ammessi solo 2 hanno 26 anni, mentre i due più vecchi hanno 62 e 64 anni.  Ma non è tutto. Tra i 400 migliori si scopre che solo 16 non hanno ancora compiuto i 30 anni.

L’analista e docente in Giornalismo Mario Tedeschini Lalli prova a interpretare: “La strage di donne alla prima prova è in netta controtendenza rispetto a tutti gli esami di ammissione nazionali. I motivi potrebbero essere diversi: domande con una distorsione culturale maschile? Caratteristiche professionali del campione femminile? Speriamo che la Rai voglia analizzare il tipo di risposte positive di donne e uomini e l’esperienza professionale pregressa dei candidati. L’altro aspetto che deve far riflettere riguarda l’età: la vecchiaia del giornalismo italiano è cosa ben nota, ma scoprire che i candidati con meno di 30 anni non arrivavano al 5% del totale fa impressione. Dove sono i ventenni che negli altri Paesi guidano redazioni, coprono uffici di corrispondenza, siedono nei board delle associazioni professionali? Che il giornalismo italiano possa diventare qualcosa di più anziano e meno femminile non è affatto gradevole da immaginare”.

Fabio Tiraboschi