Potocari (Bosnia) – 136 feretri ricoperti dal drappo verde del lutto islamico. Sono i resti delle vittime del genocidio di Srebrenica riconosciuti negli ultimi 12 mesi grazie al test del DNA. Tra loro anche 18 minorenni. Le bare verranno inumate nel mausoleo di Potocari portando a 7.057 il numero delle vittime del massacro identificate. Sono trascorsi 20 anni da quando le truppe serbo bosniache guidate dal generale Ratko Mladic in soli 4 giorni sterminarono più di 8mila musulmani, il più grave massacro compiuto su suolo europeo, dai tempi del nazismo. Impotenti i caschi blu dell’Onu, soldati olandesi che dovevano proteggere l’enclave. Enormi le responsabilità della comunità internazionale che chiuse gli occhi di fronte al massacro. Ennio Remondino, all’epoca inviato sul fronte dei Balcani, fu il primo giornalista occidentale che riuscì a entrare nel teatro dell’orrore. Oggi il giornalista ligure riferisce sconvolgenti retroscena emersi dalle ultime inchieste: “La caduta di Srebrenica non fu una sorpresa. I governi inglese, francese e americano concordarono sul fatto che Srebrenica sarebbe stata indifendibile molto prima che Mladic fosse sul punto di invadere l’enclave. E disposti a sacrificare Srebrenica in cambio di altri territori da spartire in Bosnia per raggiungere la pace”.

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Nel giorno del ventennale 50mila persone e autorità da tutto il mondo sono convenute in Bosnia Erzegovina per ricordare il genocidio. Per l’Italia la Presidente della Camera Laura Boldrini: “L’Italia è qui per accompagnare questo Paese in un difficile percorso di riconciliazione”.

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Non sono mancati i momenti di grave tensione, segno evidente che gli odi covano feroci sotto una tregua apparente. Il premier serbo Aleksandar Vucic ha abbandonato la cerimonia di commemorazione della strage dopo essere stato bersagliato da sassi e bottiglie. Le guardie del corpo lo hanno subito accerchiato per fargli scudo e il premier è riuscito ad allontanarsi.

Fabio Tiraboschi