palla di cannone piantata nel muro di un palazzo
palla di cannone piantata nel muro di un palazzo

Palle di cannone conficcate nei muri di alcuni palazzi del Centro Storico o appese nei portoni. A Genova si possono incontrare anche questi curiosi souvenir del passato, legato ai moti di rivolta della città contro l’odiato Piemonte dei Savoia.
Molti degli ordigni vennero sparati dai cannoni dei Bersaglieri guidati dal generale Alfonso La Marmora, inviato a Genova da re Carlo Alberto per domare la rivolta della “vile ed infetta razza di canaglie” che erano appunto i genovesi.
I bersaglieri conquistarono i forti che dominano la città anche con trucchi e gesti di vigliaccheria come la presa del Forte della Lanterna con soldati che prima fingono di voler trattare e poi, una volta dentro le mura, sparano alle guardie ed aprono i portoni. Poi puntano i cannoni sulla città e per ben 36 ore bombardano i quartieri di Portoria, dove rasero al suolo l’ospedale Pammatone uccidendo persino i feriti inermi, e del Centro Storico.
Le cronache dell’epoca parlano di centinaia di morti e decine di case distrutte dalle cannonate.
In alcuni casi, però, le bombe lanciate con i cannoni colpiscono i palazzi ma non li abbattono ed anzi cadono a terra come per miracolo o, ancora, si piantano nella muratura senza troppi danni come nel caso del palazzo che, ancora oggi, conserva la palla di cannone accanto ad un edicola votiva che forse era il ringraziamento alla Madonna per il miracolo.
Altri, come nel caso del condominio di via di Porta Soprana, al civico 23, hanno conservato l’ordigno nel portone e con tanto di targa commemorativa.
La città mal tollerava da tempo il giogo savoiardo ed a più riprese commise “sgarbi” contro il re come quando decise di mettere sotto la protezione della Madonna della Guardia la città per poter nominare la Vergine Maria “regina di Genova”. Più che un gesto di devozione uno schiaffo ai Savoia che certamente non avrebbero osato sostituire una Regina dei Cieli con una ben più modesta regina piemontese.
L’episodio più clamoroso, però, fu quello dell’armistizio di Novara del 25 marzo 1849, firmato da Austria e Piemonte Il regno dei Savoia temeva che gli austriaci dilagassero nel nord Italia sino a Torino e quindi diedero mano libera verso la città di Genova.
Saputo del tradimento savoiardo, Genova è insorta e il re ha deciso di cogliere l’occasione per chiudere i conti con la città inviando 30mila bersaglieri contro un esercito che contava al massimo 10mila uomini in armi.
Del finale abbiamo già parlato dimenticando però che il generale La Marmora, conquistata la città, concede 24 ore di saccheggio alle truppe che così seminano il terrore casa per casa violentando donne e depredando ogni ricchezza. Persino le chiese vennero spogliate e chi osava difendere mogli, figlie e sorelle dagli stupri di gruppo, veniva passato per le armi.
Una delle pagine più buie per Genova e che segna una “allergia a pelle” per tutto ciò che è piemontese e Sabaudo in particolare.
I bersaglieri poterono ritornare “con onore” a Genova, solo nel 1994 quando il Consiglio di Circoscrizione di Portoria, sotto la guida del presidente Giorgio Doro, studioso di storia patria, decretò la fine delle “ostilità” accogliendo il raduno nazionale dei Bersaglieri.

1 commento

  1. dopo tutto quello che abbiamo subito mi chiedo per quale motivo non venga eliminato il monumento in Piazza Corvetto dedicato a Vittorio Emanuele Secondo, sostituendola magari con quella di Balilla, nascosta nella piazzetta davanti al Tribunale di Genova