Genova – Ha tentato di uccidersi nella sua cella del carcere Marassi ed ora è in fin di vita anche perchè la telecamera di sorveglianza della cella era fuori uso da tempo e non era stata riparata. E’ la denuncia del SAPPE, il sondacato Autonomo della Polizia Penitenziaria che ha diffuso una nota nella quale spiega che l’uomo, un cittadino nordafricano di 22 anni si trova in condizioni disperate in ospedale.

Michele Lorenzo, segretario nazionale per la Liguria del SAPPE, commenta: “Questo di Marassi è l’ennesimo grave evento critico che avviene in un carcere della Liguria. Il detenuto era nel reparto di sostegno integrato, ma la telecamera di controllo nella sua cella era rotta e nessuno l’ha mai fatta riparare. Assurdo, se si pensa che proprio oggi nel carcere di Marassi si è tenuto un convegno sulla prevenzione delle condotte suicidarie e dei gesti autolesionistici dei detenuti. Si parla e si parla, ma poi non si ripara da tempo una telecamera utilissima a monitorare il detenuto in cella: in sostanza, la pratica si scontra con teoria…”.

Donato Capece, segretario generale del SAPPE, evidenzia che “il suicidio è spesso la causa più comune di morte nelle carceri. Gli istituti penitenziari hanno l’obbligo di preservare la salute e la sicurezza dei detenuti, e l’Italia è certamente all’avanguardia per quanto concerne la normativa finalizzata a prevenire questi gravi eventi critici. Ma il suicidio di un detenuto rappresenta un forte agente stressogeno per il personale di polizia e per gli altri detenuti. Per queste ragioni un programma di prevenzione del suicidio e l’organizzazione di un servizio d’intervento efficace sono misure utili non solo per i detenuti ma anche per l’intero istituto dove questi vengono implementati. E’ proprio in questo contesto che viene affrontato il problema della prevenzione del suicidio nel nostro Paese. Ma ciò non impedisce, purtroppo, che vi siano ristretti che scelgano liberamente di togliersi la vita durante la detenzione”.

Ed aggiunge: “Negli ultimi 20 anni le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria hanno sventato, nelle carceri del Paese, più di 21mila tentati suicidi ed impedito che quasi 160mila atti di autolesionismo potessero avere nefaste conseguenze”.

Il leader del SAPPE è lapidario nella denuncia: “Un detenuto che si toglie la vita in carcere è un fallimento per lo Stato. Vittime innocenti di un disagio individuale a cui non si riesce a fare fronte nonostante gli sforzi e l’impegno degli operatori, in primis le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria che il carcere lo vivono nelle sezioni detentive”.

Capece denuncia, infine, il clima che si vive nelle carceri del Paese: “La situazione all’interno penitenziaria si è notevolmente aggravata rispetto al 2017. I numeri riferiti agli eventi critici avvenuti tra le sbarre delle carceri italiane nell’intero anno 2018 sono inquietanti: 10.423 atti di autolesionismo (rispetto a quelli dell’anno 2017, già numerosi: 9.510), 1.198 tentati suicidi sventato in tempo dalle donne e dagli uomini della Polizia Penitenziaria (nel 2017 furono 1.135), 7.784 colluttazioni (che erano state 7.446 l’anno prima). Alto anche il numero dei ferimenti, 1.159 ferimenti, e dei tentati omicidi in carcere, che nel 2018 sono stati 5 e nel 2017 furono 2. La cosa grave è che questi numeri si sono concretizzati proprio quando sempre più carceri hanno introdotto la vigilanza dinamica ed il regime penitenziario ‘aperto’, ossia con i detenuti più ore al giorno liberi di girare per le Sezioni detentive con controlli sporadici ed occasionali della Polizia Penitenziaria. Ed è grave che il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria guidato da Francesco Basentini non sia in grado di mettere in campo efficaci strategie di contrasto a questa spirale di sangue e violenza”.