Genova – Arriverà nel porto intorno alle 9 e farà scalo a Calata Bettolo, appena “collaudata” per le navi porta container, la nave militare “Cigala Fulgosi” che trasporta cento Migranti salvati dall’affondamento del loro gommone, al largo di Lampedusa.
La nave farà sosta al terminal ma non è ancora chiaro se le persone a bordo, molte le donne e i bambini, potranno scendere o se, invece, dovranno restare a bordo in attesa di destinazione finale.

Le autorità locali hanno garantito che non ci saranno “soste” nel territorio ligure ma nelle ultime ore si è anche parlato di uno smistamento nei centri di accoglienza cittadini e della Liguria poiché sarebbe un controsenso far percorrere ad una nave un viaggio simile dalla Sicilia (violando apparentemente anche le norme internazionali che parlando di salvataggio e trasporto nel porto più vicino) per poi far ripartire i poveretti a bordo per una destinazione lontana.

Opinione pubblica divisa nettamente in diverse “fazioni”. C’è chi saluta con favore l’apertura dei Porti che sembra smentire quanto dichiarato nelle scorse settimane da autorevoli rappresentanti del Governo italiano e chi invece si stupisce per la decisione di trasferire a Genova, molto lontano dal teatro del soccorso in mare, di disperati che avevano forse bisogno di un rapido sollievo in strutture specializzate invece di dover percorrere centinaia di miglia a bordo di una nave militare che certamente non è attrezzata come un ospedale civile.

Numerosa anche la fazione di chi, semplicemente, si dice incredulo per la scelta di proseguire gli interventi in mare dopo le dichiarazioni politiche di una totale chiusura dei porti italiani ai Migranti. Cosa peraltro impossibile da realizzare sulla base degli attuali accordi internazionali.

Difficile anche che, come dichiarato, i Migranti non restino sul territorio italiano e non “gravino” sulle spese dello Stato. Il trattato di Dublino, sottoscritto dall’Italia, prevede infatti l’obbligo del Paese d’ingresso (in questo caso l’Italia) di ospitare e sostenere i profughi sino all’avvenuto riconoscimento (o rifiuto) dello status di rifugiato.